Governo in aula all'Ars

L’analisi della Ragioneria riguarda il finanziamento della spesa sanitaria nel 2018, anno del bilancio oggetto del contenzioso. Ebbene, questi sono i dati: a fronte di entrate di 8.805.654278,04 euro, la Regione l’anno scorso ha speso 9.256.017.491,20. E dunque lo «squilibrio» è di oltre 450 milioni. La tesi è che in Sicilia, per garantire i servizi sanitari ai cittadini «costituzionalmente garantiti», la cui spesa è «incomprimibile», lo scorso anno s’è dovuto spendere quasi mezzo miliardo in più. Sottraendolo da spese sociali, servizi pubblici essenziali e altre «rilevanti funzioni». E non solo. Per coprire i fondi dei Lea non erogati dallo Stato, la Regione «si è trovata costretta a peggiorare il disavanzo» 2018, per coprire il quale ora stringe la corda nel bilancio 2019.

La Regione dovrà presentare entro domani il conteggio certificato dalla Ragioneria; anche lo Stato, chiaramente, farà lo stesso. «Ma i numeri sono numeri: inequivocabili», è l’ottimistica tesi sussurrata nel governo regionale. Che, aspettando la sentenza della Corte costituzionale prevista entro fine anno, punta all’uovo (450 milioni di restituzione di fondi statali), ma pregusta anche l’uovo. Perché, semmai fosse riconosciuto il credito sul bilancio 2018, il principio della cosiddetta “debenza pluriennale” costringerebbe il governo nazionale a sedersi a un tavolo per discutere gli ultimi 10 anni (esclusi dalla prescrizione) di conti in sospeso con la Sicilia. Il che, secondo una stima palermitana, significa una trattativa che si aprirebbe con un potenziale credito della Regione di 4-4,5 miliardi. Trattabili, s’intende.

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