Ciao a tutti! La scorsa volta non mi sono presentata: sono Simona e sono talmente appassionata di cinema, che non solo ho frequentato un corso di laurea per studiarlo, ma ho deciso di scrivere una rubrica sui film che più mi hanno colpito, senza aggiungere commenti tecnici inutili.

Se la scorsa volta mi è piaciuto parlare di un film come Il Traditore, oggi mi piacerebbe parlare dell’ultimo film di uno dei miei registi preferiti: Robert Zemeckis.

Benvenuti a Marwen unisce un episodio realmente accaduto, sebbene romanzato, alla visione piuttosto particolare che del mondo ha questo regista, in cui fiction e realtà si fondono.

Non so quanti di voi conoscono Chi ha incastrato Roger Rabbit, ma chi lo ha visto ha ben presente la bravura, geniale a mio parere, con cui Zemeckis nel 1988 ha unito personaggi reali e cartoon nel mondo di questi ultimi.

Benvenuti a Marwen racconta la storia di Mark Hogancamp, un uomo che viene pestato e ridotto quasi alla morte da un gruppo di neonazisti dopo aver detto, da ubriaco, che gli piace indossare scarpe da donna precisando di non essere omosessuale.

Sopravvissuto per miracolo, Mark costruisce Marwen un immaginario villaggio belga in cui diventa Hogie, un pilota durante la Seconda Guerra Mondiale quotidianamente impegnato a combattere i nazisti ma aiutato dalle donne di Marwen, che nella realtà sono donne con cui il nostro protagonista si scontra nella vita reale e che hanno un ruolo importante nella sua vita.

Nel frattempo, attraverso un album di ricordi, scopriamo che Mark era un fumettista ma adesso a causa del pestaggio non è in grado di scrivere neanche il proprio nome e racconta la sua realtà attraverso le fotografie del villaggio, che diventeranno oggetto di una mostra.

Durante il film è costante l’intervento dell’avvocato e delle amiche che chiedono al protagonista di intervenire in tribunale durante il processo per fare in modo che gli autori di questo terribile gesto vengano incriminati; tutto questo però provoca in Mark reazioni molto violente che lo portano ad abusare delle pillole prescrittegli per la riabilitazione, e che si scopriranno avere un ruolo particolare all’interno della storia.

È un film importante non soltanto dal punto di vista grafico perché sviluppa la tecnologia della CGI (Computer generated imagery) applicando alle bambole il viso di attori in carne ed ossa, ma anche perché essendo al giorno d’oggi troppo abituati a sentir parlare di atti di bullismo da non farci più nemmeno caso, non ci rendiamo più conto delle conseguenze che un evento del genere può provocare nell’animo e nel corpo di un essere umano.

Non ho difficoltà a dire che una lacrima è scesa, soprattutto quando dopo la scena finale sono state aggiunte le foto del vero Mark, che sebbene rovinato fisicamente per sempre, era sorridente e finalmente sereno.

A mio modesto parere, il regista è stato in grado di trasmettere i sentimenti reali provati sia dal protagonista della storia sia da chi ha fatto parte della sua vita dal momento dell’aggressione in poi, non esagerando nel presentare la mania di Mark dell’indossare le scarpe da donna ma dedicandogli pochi fotogrammi utili nel racconto.  

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