Waiting for Columbus 1978

Alle volte certi dischi rispecchiano il tuo stato d’animo, altri ti spingono verso le tue radici. Con i Little Feat sono diventato adulto, e ci ho regolato un sacco di conti interiori. Nei giorni in cui anch’io mi sono alzato al mattino con la gola raschiata dalle troppe sigarette, e un freddo nelle ossa che non se ne andava in nessuna maniera. Quelle canzoni sembrano ancora possedere la chiave della serratura. Non sai mai il perché questo accada ma serpeggiando, sterzando e stridendo, sanno come arrivare in cima alle scale del tuo cuore. “Sailin’ Shoes” (1972) e “Dixie Chichen” (1973) suonano quel blues&roll maledetto, che ti fa tremare come una foglia nel buio della notte. Ha con sé quel furibondo richiamo della strada che con le sue speranze e i suoi desideri, conficca gli speroni nella profondità della tua anima. Hanno il ritmo dello sferragliare dei treni, e il sapore delle cose perdute come se tutto il sangue caldo del Mississippi, scorresse dentro il corpo di Lowell George. Poi, quando arriva Roll Um Easy, una di quelle ballate dolenti e drogate di romanticismo mistico, i falliti del mio stampo sentono di non essere soli. Il loro doppio album, “Waiting For Columbus” del 1978 registrato al Rainbow Theatre di Londra, resta ancora oggi un disco che sta sul podio dei migliori album degli anni settanta, uno di quei live che se non lo hai mai ascoltato, ti sei davvero perso qualcosa nella vita. Sul palco i Little Feat suonano stirando le versioni dei loro classici in maniera emozionante. Quello che viene fuori è una musica solida, diretta, e mai troppo innocente, come non lo è mai il blues e la malinconia. Nonostante tutto questo tesoro musicale, Lowell George è uno di quei musicisti di cui si parla sempre troppo poco e non c’è peggio di un agonia troppo lunga, per finire del tutto dimenticati.

Bartolo Federico