In un pericoloso e pittoresco quartiere chiamato Deep Ellum a Dallas in Texas nel 1920, accompagnato da un adolescente T-Bone Walker che gli regge la lattina per le offerte e custodisce gli incassi, si aggira suonando agli angoli delle strade il cieco bluesman Lemon Jefferson. “Non temete gente avvicinatevi ad ascoltare quest’uomo. Non vi restituirà lo sguardo i suoi occhi sono solo bulbi, ma è con il cuore che vi parlerà”. La sua tazza ogni giorno si riempie di elemosina, straripa di soldi, fa buoni affari quest’uomo rissoso, puttaniere e ubriacone… è lui il primo cantautore della storia del blues ed è dotato anche di una grande abilità nel suonare la chitarra. Disegna fraseggi irregolari dilatando l’assetto ritmico della canzoni e costruisce complicate strutture armoniche. Sa anche improvvisare, arricchendo il suo blues con accenni jazzistici. La sua voce, poi, è alta e chiara, ha vigore, proviene direttamente da quei binari dell’anima raschiati dal dolore.
O la sua strada è oscura e solitaria. Non guida nessuna Cadillac. O la sua strada è oscura e sacra. Non guida nessuna Cadillac. Se quel cielo gli serve come occhio. Allora la luna è una cataratta (Nick Cave – Blind Lemon Jefferson). Tre anni bastarono a Lemon Jefferson per diventare uno dei musicisti più importanti del country blues. Un centinaio di titoli, registrati tra il 1926 e il 1929, lo fecero assurgere a cantante di successo nell’America dei neri insieme alle regine di quel tempo Bessie Smith, Gertrude Rainey e Ida Cox. Fu anche il primo, insieme a Gertrude Rainey, a figurare sull’etichetta dei suoi dischi. Pur cieco, Lemon Jefferson trovò sempre la strada di casa… ma non la notte in cui si perse in una tormenta di neve e morì. Di lui ci restano le sue canzoni e quell’unica foto arrivata fino ai nostri giorni che ci mostra un uomo robusto di età indefinibile con gli occhialini da vista su due pupille agghiacciate dal buio.

Bartolo Federico

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