Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha annunciato la liberazione di Silvia Romano, una cooperante italiana di 24 anni rapita nel 2018 in Kenya. Atterrata in Italia intorno alle 14 all’aeroporto di Ciampino, a Roma.
Poco, quasi nulla sulla prigionia è stato comunicato in questo tempo, con voci ufficiose che non trovavano conferma, vuoi per segreto di istruttoria vuoi per non verità accertate dalle autorità italiane.
Stamattina i quotidiani hanno pubblicato qualche dettaglio ottenuto dalle proprie fonti sul rapimento e gli ultimi mesi di Romano in Africa.
La trattativa
Sembra che tutto sia iniziato nell’estate del 2019, quando «dopo un
lungo silenzio» alcuni miliziani di al Shabaab hanno contattato gli
uomini dell’intelligence italiana in Somalia, scrive Repubblica.
Dopo alcuni mesi di negoziati, scrivono i giornali, l’intelligence
italiana si è convinta che Romano fosse ancora viva nel gennaio del
2020.
Il Corriere della Sera sostiene che la prova definitiva sia stato un video in cui compariva la stessa Romano.
Dove si trovava Silvia Romano
Romano era stata rapita il 19 novembre 2018 nel villaggio di Chakama, nel sud del Kenya, dove si trovava per conto di una onlus italiana. Secondo le prime informazioni i suoi rapitori facevano parte di banda di criminali locali che poche settimane dopo averla catturata – sembra in un centro commerciale – l’avevano ceduta a un altro gruppo.
Il Corriere della Sera scrive che secondo «alcuni informatori locali e gli stessi rapitori», tre dei quali erano già stati arrestati mesi fa, Romano è stata portata in Somalia «dopo un viaggio nella foresta durato settimane». I quotidiani italiani concordano sul fatto che il gruppo che l’ha tenuta prigioniera fino a ieri appartenga ad al Shabaab, un noto gruppo jihadista legato ad al Qaida che da molti anni controlla pezzi del territorio somalo e compie attacchi terroristici in Somalia e nei paesi limitrofi. Al Shabaab, fra l’altro, ha una lunga storia di rapimenti di cittadini stranieri in Kenya e Somalia.
Non è chiaro dove Romano abbia passato i circa 18 mesi della sua prigionia. Repubblica scrive che nell’ultimo periodo si trovava «in un grande centro abitato nel centro della Somalia».
Alla liberazione di Romano hanno lavorato soprattutto i funzionari dell’AISE, i servizi segreti italiani che lavorano all’estero. Alcuni di loro si trovavano da mesi in Somalia, altri sono arrivati soltanto nelle ultime settimane. Ad assistere l’intelligence italiana, oltre a quella locale, sono stati anche alcuni funzionari turchi. La Turchia ha estesi e antichi rapporti con la Somalia, che riguardano sia lo sviluppo economico e infrastrutturale sia la sicurezza.
Il negoziato è entrato nel vivo «a metà aprile», scrive il Corriere della Sera: «ci si coordina con somali e turchi nei passaggi più delicati. Le condizioni di sicurezza in Somalia sono pressoché inesistenti, si chiede di fare in fretta. Qualche settimana fa arriva l’ultima prova, il negoziato è ormai alle battute conclusive». Anche Giuseppe Conte, parlando all’aeroporto di Ciampino dopo aver accolto Romano in Italia, ha spiegato che «da qualche mese» le trattative erano «in dirittura finale».
La liberazione
Comprensibilmente, non ci sono ancora molti dettagli sull’operazione che
ha portato alla liberazione di Romano. I giornali non hanno notizia di
scontri o violenze, e il modo in cui ne scrivono fa pensare che si sia
trattato di uno scambio. Il Corriere della Sera dà per certo che l’Italia abbia pagato un riscatto, ma scrive che «non c’è una cifra precisa».
Il trasferimento di Romano dai rapitori ai funzionari italiani è avvenuto nella notte fra venerdì 8 e sabato 9 maggio. Dopo aver passato alcune ore in un’area militare a Mogadiscio, la capitale della Somalia, Romano ha passato la notte negli uffici dell’ambasciata italiana in Somalia.
Come sta
«È provata, ovviamente, dallo stato di prigionia ma sta bene», ha fatto sapere Raffaele Volpi, deputato della Lega e presidente del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (il cosiddetto Copasir). Il Corriere della Sera scrive che al momento del rilascio Romano «appare in buone condizioni di salute» e che arriva «vestita con gli abiti tradizionali delle donne somale e il capo coperto».
Poi aggiunge un particolare da prendere con le molle, dato che non è ancora stato confermato da alcuna fonte ufficiale: il Corriere sostiene che quando all’ambasciata italiana le hanno chiesto di cambiarsi i vestiti, Romano avrebbe risposto di essere «una convertita». Secondo la dottrina islamica più tradizionalista, le donne non possono vestirsi liberamente ma devono accettare alcune restrizioni come velare il capo e le braccia. La notizia della presunta conversione non è stata citata nemmeno dai familiari di Romano che hanno parlato con la stampa.
Contattato da Repubblica, l’ambasciatore italiano in Somalia Alberto Vecchi non ha confermato la notizia: «In questi mesi vestirsi in questo modo credo sia stata un’abitudine, non ritengo possa indicare di per sè un atteggiamento spirituale. E comunque su tutti gli aspetti personali è giusto che a parlare sia la giovane».
Al suo arrivo all’aeroporto di Ciampino, Romano indossava una mantella verde sotto la quale si intravedeva un vestito lungo e colorato. Ha sorriso ai fotografi ed è sembrata in buone condizioni di salute. «Sto bene, fisicamente e mentalmente. Ora voglio solo passare tanto tempo con la mia famiglia. Sono felicissima, dopo tanto tempo, di essere tornata»