Recensione – Ho più di un amo nello stomaco

Sergio Pennavaria è un cantautore siciliano, da oltre dieci anni trapiantato in Liguria.

Un artista completo, un pittore, cantautore, attore, artista di strada, organizzatore di rassegne di musica d’autore che fa confluire nei suoi pezzi tutte le sue esperienze.

A tratti le canzoni diventano quasi tele su cui si materializzano visioni ed immagini, racchiuse nelle sue parole accurate e sapientemente accompagnate da precise suggestioni musicali.

Non ha certo dimenticato le sue origini, ma ascoltando l’ultimo album “Ho più di un amo nello stomaco”, si direbbe che, rispetto a quelle della terra d’origine, si notano di più le influenze della terra che lo ha accolto.

Ma le sue esperienze (tra cui l’attività cinematografica, teatrale o da busker) nonché le sue passioni, hanno apportato al suo contesto sonoro anche elementi ed atmosfere circensi, zigane e balcaniche, oltre ad influenze jazz, per una musica che, abbracciando tutti questi elementi, va oltre la definizione classica di “cantautorale”, e non disdegna l’utilizzo dell’orchestra e le atmosfere cinematografiche.

Ogni elemento, poi, è funzionale a testi importanti, di elevata poesia, in cui le parole sono a volte associate ad un contesto surreale od onirico.

Un album contenente tutti questi elementi, e tutta questa qualità (anche dei musicisti che vi suonano, con arrangiamenti molto raffinati e “ricchi”) richiede più ascolti per essere compiutamente apprezzato, per arrivare a scoprire sempre nuovi passaggi in cui musica, parole ed immagini si fondono scambiandosi spesso i ruoli.

La title track mette subito in chiaro il tema, se non proprio il concept, con gli ami nello stomaco che sono metafora di amori (con ampia accezione) e conseguenti inevitabili dolori, “corrosi da salsedine e tasso alcolico”. E’ il brano in cui più marcatamente si ritrova il carattere cantautorale, con atmosfere care all’ultimo de André, ma con alcuni elementi jazz più o meno latenti che, come in ogni pezzo successivo, affiorano.

“Rebus”, uno dei due pezzi di cui è stato prodotto il video, si caratterizza per la chitarra suonata da Finaz (Bandabardò) cui si affiancano gli archi, per una bellissima melodia e armonie (che vagamente riportano al conterraneo Carlo Muratori) di supporto ad un ottimo testo.

Anche per “Due parti precise di me” è stato prodotto un video, ma qui le atmosfere sono diverse, quasi felliniane, una musica che richiama quella “circense”, balcanica, proprio come “L’amore nell’armadio” che però è accompagnata da un testo surreale.

Tra le due, “L’amore invisibile”, malinconica, con inizio pianistico che si apre poi con archi orchestrati, poi pizzicati, ed infine chiude con fiati dopo una strofa cantata da Davide Geddo.

“Nel mondo senza tempo” è il brano più composito, arrangiato con archi, presenta un bridge “mediterraneo”, poi apre nuovamente ad echi jazzistici, e tratta il tema dell’immigrazione ma sempre con l’amore (e la tragedia) sullo sfondo.

“Se potessi come si fa” musicalmente ritorna nella categoria cantautorale, richiamando alla mente un Branduardi solo un po’ più progressive, e ripropone un testo fantasioso, proprio come la successiva “Un cuore sul viso”, che però musicalmente è sudamericana, con un motivetto allegro che ricorda certe colonne sonore del cinema italiano anni ’70.

“Bufera”, belle percussioni, è l’unico brano cantato in siciliano, e anche la musica si presenta più mediterranea, ma comunque contaminatissima.

La visionaria “Il tappeto volante” è come una sorta di ponte tra il cantautorato italiano ed un certo country folk, con una bella armonica.

Chiudono la malinconica “Dove nasce la libertà” e la più allegra “Il palamito” altro testo surreale che in qualche maniera riepiloga tutto l’album.

Come detto, “Ho più di un amo nello stomaco” non è un disco immediato, e necessita di più ascolti per coglierne tutte le stratificazioni; il consiglio è quello di ascolti attenti, non superficiali, per poter apprezzare la qualità dei brani, la poesia dei testi, i piani musicali, e per scoprire, ascolto dopo ascolto, tutto ciò che questo artista completo e poliedrico vuole esprimere. Nonostante la presenza di più elementi musicali, poi, l’album mantiene comunque una sua coerenza ed unitarietà.

Pare che Sergio Pennavaria stia pensando, per il prossimo lavoro, ad un disco interamente in siciliano, e viste queste premesse non si può che essere incuriositi attendendone con ansia l’uscita.

Rino Bonina

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