Stefania Patanè, cantautrice siciliana che dal 2012 vive a Roma, dopo un primo approccio alla chitarra, approfondisce lo studio del canto, affina un’ottima tecnica vocale e studia percussioni, pianoforte, armonia, arrangiamento e composizione jazz (oltre a laurearsi in Medicina, ma non so quanto questo influisca sul suo percorso musicale…).
Ha preso parte a svariati progetti musicali in cui il fattore comune era sempre la contaminazione, con una fiorente attività concertistica.
La sua prima pubblicazione risale al 2013, con l’album “Even not 4”, che la vede soprattutto in veste di interprete.
In questo nuovo lavoro, dal titolo “New Focus”, compare invece in veste di autrice di testi e musiche, nonché di curatrice degli arrangiamenti, peraltro ben riusciti, approdando ad una sorta di crossover in cui trovano spazio la world music ed in modo preponderante il Jazz contemporaneo, con qualche (sporadica) spruzzata di tradizione siciliana.
Già dalla copertina è chiaro l’intento di considerare un “nuovo punto di vista” in cui, ad esempio, il vulcano diventa simbolo di vita, come una “…metafora per me di come anche la rabbia o il dolore più grande, passando attraverso una profonda consapevolezza, possano trasformarsi da forza distruttiva in forza creativa, via di salvezza per ogni essere umano…” (parole dell’autrice).
Al risultato finale contribuiscono due ottimi musicisti quali Seby Burgio e Francesco de Rubeis, oltre a tre ospiti speciali come Javier Girotto ai sassofoni e ai flauti andini, Enrico Bracco alle chitarre e Kyungmi Lee al violoncello.
Si apre con “Combimbi”, brano in cui Stefania si ricollega a “Stefaniuzza”, la bambina che era, avvicinandosi sempre più a lei man mano che il testo passa dall’inglese, all’italiano, al siciliano (vedremo in molti brani la compresenza di più idiomi).
“Stiddaluci”, interamente in siciliano, parla di una donna che vive nel dolore, e compaiono quei vocalizzi che palesano la bravura al canto.
Il tema del dolore è più volte ripreso, come nel successivo “Cuntala”, in cui si intravede qualche elemento etnico in più, a partire dalla melodia e dal canto, in siciliano; racconta la tragedia di una madre che perde la sua bimba per un tragico incidente, ma mantiene, nella ripetitività dei gesti quotidiani, la forza di resistere e donare amore alle persone care.
Segue la strumentale “Mission”, veloce e allegra, impreziosita da suoni sillabici e da un bel sax.
Torna ancora il dolore, stavolta quello volutamente nascosto che riaffiora per consentire di tornare a vivere pienamente, in “Chiddu ca nun viri”; l’intro, in italiano, cita Massimo Gramellini, poi parte il cantato, in stile pienamente siculo, in dialetto e sillabe musicali. Bello anche il video.
“Grace and light” è un brano delicato, cantato in inglese, con una bella coda in siciliano e vocalizzi.
“Nicuzza Duci” è la bellissima e conosciutissima serenata di Franco Finistrella, in siciliano, qui riarrangiata in chiave Jazz, privata di qualsivoglia musicalità sicula, con una bella parte strumentale con piano e sax in evidenza.
“Vai Via” è cantata in italiano con coda in siciliano, e anch’essa presenta una parte strumentale con chitarra elettrica e piano.
In “Mamma Lucia (Anonimo Sicliano)” Stefania, oltre a dare mostra delle sue capacità vocali, sulla melodia del brano di Pippo Caruso innesta un suo testo scritto in passato, dove l’allontanamento dalla propria terra trasforma il rancore verso la stessa in tenero ricordo.
“What I feel” è basata sulla famosissima poesia di Nino Martoglio sull’innamoramento; cantata in inglese, riporta però in mezzo la stessa poesia in siciliano, con un ritmo il cui incedere somiglia al battito del cuore impazzito per amore.
Pur parlando molto di dolore in varie forme, questo disco lo fa sempre con un atteggiamento resiliente, in cui il sentimento negativo, anche (o proprio perché) interamente e profondamente vissuto o riemerso, viene sempre trasformato in una nuova rinascita, un “New Focus” da cui ricominciare.
Quindi, alla fine, ci si accorge che il sentimento principale trattato nell’album non è il dolore, ma l’amore.
Rino Bonina