“It’s only Rock ’n’ Roll, but i Like it”. Con questa citazione di uno di più noti brani degli Stones, si potrebbero iniziare, concludere o riassumere centinaia, se non migliaia, di recensioni.

Nel caso di questo nuovo lavoro di Ruben Minuto, la citazione calza alla perfezione, nella misura in cui è innegabile che come genere nulla aggiunge e nulla toglie a qualcosa di già noto, ma è suonato con tanta perizia e tanto cuore da risultare estremamente gradevole e di qualità.

In più, ci sono comunque elementi di integrazione ed innovazione, legati in particolare, a mio parere, ad una voce “americana” nel cui cantato però è riscontrabile una certa “italianità”, come se la voce avesse assorbito un retaggio geografico dal piglio sì rock o blues, ma intrinsecamente cantautorale. 

Classe 1970, mancino, tanta gavetta e tantissima esperienza anche in campo internazionale, dove gode di incondizionata stima, Ruben Minuto propone questo ottimo album registrato live in studio in due sessioni, senza sovraincisioni e quasi sempre “buona la prima”, che spazia (ma è riduttivo) tra country e southern rock, ballate e poderose cavalcate, insomma uno di quei casi in cui ad essere percorso è l’intero linguaggio del Rock, quello con l’iniziale maiuscola.

Quasi cinquanta minuti di ottima musica, dieci brani di cui sette tratti da lavori precedenti e riarrangiati in vista dei live che erano (ahimé) previsti per il funesto 2020, e tre sorprendenti cover.

Si parte con la totale reinterpretazione del traditional bluegrass “Molly & Tenbrooks”, qui proposto in una delicata e pacata versione acustica, per proseguire con l’elettrica “This hour of the day”, gusto southern con chitarra ed Hammond che si inseguono e si cimentano in precisi assoli, e con la successiva “Jimmy two steps” che mantiene lo stesso tiro.

“Along the way” torna ad atmosfere più pacate, una ballata che ricorda un po’ certe cose di James Taylor e che fa da prologo alla sorprendente cover di “You’re the one that i want”, proprio quella tratta da Grease, cantata insieme alla voce blues di Jane Jeresa e stravolta in stile alternative country, un po’ oscura.

“High heel shoes” torna al tiro southern dei brani precedenti, mentre “Be alive”, acustica, ci porta più sulla East Coast per melodia ed armonie vocali, e con i suoi quasi sette minuti è la più lunga del disco.

“Who cares” è ancora acustica, ma più lenta e malinconica, solo due chitarre, con la marcia in più della bella voce della giovanissima Sophie Elle, stesse atmosfere di “In the hands of time”, nella quale però una delle chitarre acustiche è sostituita dalla lap steel e la voce femminile è quella della cantautrice Lucia Lombardo.

Conclude l’album, con la stessa strumentazione e la stessa vena di malinconia, l’ultima cover, ovvero “Why should i be so lonesome (lonely)”, brano di Jimmy Rodgers, con tanto di yodel finale.

Un album onesto, di grande qualità e serietà, che conferma le grandi doti di Ruben Minuto e che, se non lo conoscete già, vi farà venire voglia di andare a recuperare i suoi lavori precedenti, certi di trovarvi qualcosa dall’aria familiare ma infallibilmente bello ed emozionante.

Rino Bonina

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