Cos’è la variante inglese e chi colpisce di più
La variante inglese del Covid-19, indicata con le sigle 20B/501YD1 o B.1.1.7, è chiamata così perché è stata scoperta per la prima volta nel Regno Unito a metà dicembre 2020. Da allora si è diffusa sempre di più in Europa e nel mondo, arrivando anche in Italia. Nel nostro Paese la variante inglese è la mutazione più diffusa, accanto a brasiliana e sudafricana.
Dagli studi condotti finora è emerso che la variante inglese è più contagiosa dal 30 al 50% rispetto alle altre varianti in circolazione, e può avere una mortalità fino al 70% superiore. Secondo gli esperti, quindi, la variante inglese del SARS-CoV-2, è sia più contagiosa che letale.
La variante inglese sembra colpire i bambini in modo più significativo rispetto al virus originale, e secondo uno studio condotto dall’Imperial College London, anche le giovani donne in salute sono più a rischio di contrarre forme gravi che richiedono il ricovero. Se prima erano meno vittime dell’infezione rispetto agli uomini, con rischio molto inferiore di ospedalizzazione, adesso la percentuale è del 50%.
Sintomi variante inglese
- Al momento gli studi suggeriscono che la variante inglese causa gli stessi sintomi del ceppo originale. Chi contrae il virus mutato, quindi, può avere: febbre
- tosse secca
- stanchezza
- dolori muscolari e articolari
- gola infiammata
- mal di testa
- congiuntivite
- diarrea
- perdita di gusto e olfatto
- eruzioni cutanee o scolorimento delle dita delle mani e dei piedi
In entrambi i casi i sintomi più gravi sono difficoltà respiratorie e dispnea, dolore o pressione al petto e perdita di parola o di movimento.
Cosa cambia per i vaccini
La domanda cruciale che ora ci si pone è se i vaccini anti-Covid sviluppati e iniettati finora saranno efficaci anche contro le nuove varianti del virus.
Non ci sono prove attuali che suggeriscano che il nuovo ceppo influisca sui vaccini e i trattamenti già approvati. Dagli studi effettuati finora risulta altamente improbabile che questa mutazione non risponda ai vaccini anti-Covid. Tuttavia gli scienziati sono costantemente al lavoro per confermare questa tesi.