Mettiamo assieme due siciliani, Andrea Trimarchi e Fabrizio Liga, diamo loro un garage, una chitarra e una batteria. Verrebbe spontaneo chiedersi cosa possa mai accadere. Bene, non chiedetevelo, non serve. Prendetevi una buona mezz’ora, lasciate tutti gli impegni in un angolo e immergetevi in questo viaggio dall’ Hill country blues al rock alternativo degli anni 90’. Se cercate suoni dolci, chitarre acustiche ben accordate e voci limpide, questo non è il disco che fa per voi. Se invece avete un’anima blues e una tempra d’altri tempi, cercate musica diretta, cruda e sincera, siete sulla strada giusta.
L’impressione è quella di riunirsi tra amici, nei sottoscala, con buone idee, qualche riff e tanta voglia di suonare.
Noi ascoltatori sediamoci pure a terra, non servono sedie dove stiamo andando, ma solo buone orecchie e saper battere le mani a tempo. 6 brani senza fronzoli, dritti al loro obiettivo: fare del sano garage punk. Non sempre con solo due strumenti si riesce a coinvolgere tanto facilmente il pubblico, ma Andrea e Fabrizio ci mettono cuore, anima e soprattutto quella distorsione tanto gradita dagli amanti del genere, e là dove serve aggiungono, come in My Excuses, un fischio che riprende il ritmo imposto dalla chitarra.
Il disco apre con Being a Fat Bastard, che è anche il nome del duo, proponendoci un riff che difficilmente scorderete, nel più gradevole rock blues vecchio stile che si possa incontrare. Tanti gli arpeggi che vi faranno sperare che il disco finisca il più tardi possibile, con una pregevole batteria sempre presente, meno che sull’ultimo brano, Primal Game, che chiude l’esperienza d’ascolto con un’ottima interpretazione voce e chitarra.
Un disco che si fa ascoltare e senz’altro rimettere da capo più volte.
Antonio Lo Re