Esiste la musica, esistono le canzoni e infine ci sono i Geni.
Loro non seguono una strada già segnata dai passi di altri, loro battono nuovi sentieri, creano scorciatoie mai viste prime e, dal nulla, ci svelano inesplorati e straordinari mondi.
Lo fanno perché è nella loro natura inventare, distruggere, ricomporre e dimenticare.
Il primo messaggio che ricevo stamattina, da parte di una cara amica, mi stronca: “è morto Battiato”.
Mi siedo sul letto, poso il telefono e spero di svegliarmi
un’altra volta.
“Deve essere un brutto sogno, deve esserlo per forza”.
Purtroppo, non lo è.
Chi è stato Battiato? Probabilmente, anche lui faticherebbe a rispondere.
Lui era il filosofo, era l’artista, il cantautore, il genio, ma più semplicemente il Maestro. Se l’Italia ha sempre vantato un’ottima tradizione musicale, Battiato è il padre di questa tradizione.
Franco, soprannome suggeritogli da un altro mostro sacro come Gaber, diventa di proprietà nazionale. Le sue canzoni, già negli anni ’70, sono troppo moderne, aperte a un dialogo molto intimo tra artista e pubblico, ricche di suoni sempre nuovi e rivoluzionari. Il Maestro parla di ogni argomento possibile, mischia tutto, dall’epica greca alle chiacchiere da bar, inserendo formule matematiche, denuncia sociale, critiche e, soprattutto, amore. Giurerei di averlo sentito cantare in italiano, in inglese, passando per l’arabo, il francese, lo spagnolo e naturalmente il suo dialetto, il siciliano. Indimenticabile il suo accento, la sua cadenza e anche le sue espressioni colorite durante le interviste.
Battiato non sapeva essere ordinario nemmeno nella sua stravaganza. Sin dall’esordio con Fetus, concept album basato su “il mondo nuovo” romanzo distopico di Aldous Huxley, la cui copertina venne inizialmente censurata perché troppo provocatoria ai tempi, fa capire che viene dalla Sicilia, ma vive in un mondo alieno. Sintetizza tutta la cultura mondiale con una facilità disarmante, lasciando in eredità brani che riescono a coniugare perfettamente il sapere in ogni suo frammento, fino a mettere insieme Proust e Yogananda, chiedere consiglio a Bob Dylan (Mr. Tamburino) e adagiarsi sull’estetica letteraria di Leopardi.
Non parlerò di canzoni, sono troppe e anche scegliendo una lista sarebbe estremamente difficile non fare uno sgarbo agli altri brani.
Battiato ha saputo andare incontro a tutti e incontro a ogni nostra esigenza. Gli stessi motivetti che conosciamo a memoria, mutano il loro significato in continuazione, sia per abbracciarci quando siamo tristi, sia per accompagnare la nostra felicità nei momenti più belli e spensierati.
Ho iniziato ad ascoltarlo quando “euclidei” mi sembrava una parolaccia e “i campi del Tennessee” un posto troppo lontano per capire dove si trovasse. Ma lo apprezzavo, perché sapeva dire tutto senza voler esplicitamente dire nulla.
Amato da tutto il mondo musicale, figlio e padre della sua terra, amico e maestro, lascia certamente un vuoto incolmabile ma anche una quantità incalcolabile di consigli, presenza e saggezza, grazie ai suoi capolavori, che spero riusciranno a colmare la sua apparente assenza.
“Vivo come un cammello in una grondaia
in questa illustre e onorata società!
E ancora, sto aspettando, un’ottima occasione
per acquistare un paio d’ali, e abbandonare il pianeta”
Quelle ali, adesso, le hai acquistate, ma sono certo continuerai a stupirci.
Grazie di tutto, Majistru
Antonio Lo Re