Palermo – È terra e acqua, fuoco e  colore, materia trasformata e plasmata;  è concretizzazione di gesti, di sapienza acquisita. È popolare e preziosa, antichissima e attuale. È viva, nasce da precisi rituali, in ambienti umidi e odorosi;  è curata da mani esperte che modellano l’argilla, amandola e affidandola poi al fuoco che fa il resto. È un materiale planetario, presente in tutte le culture, sempre uguale sempre diverso. È chimica; nasce da segreti gelosamente conservati, di generazione in generazione, che si trasformano, con la consapevolezza di chi sa, in mille oggetti d’uso, discreti, silenziosi, saggi. La maiolica ha  adornato dimore reali, ville, castelli, ma è stata anche espressione e conforto di un vissuto popolare, anonima e sapiente. Il racconto del mondo delle fornaci è al centro di una mostra preziosa da ieri domenica 10 aprile, inaugurazione alle 11,30 da Drago360, nella ex cavallerizza del nobile Palazzo Drago Airoldi di Santacolomba, affacciato sul Cassaro, a Palermo, una residenza nobiliare, restituita da pochi anni alla città, che sta attuando una bella politica di apertura alla comunità: in questo ambito rientra Maiolica. Regno delle due Sicilie, esposizione che si allunga orizzontalmente nelle regioni che fecero parte dei territori del regno borbonico nell’Italia meridionale. Le fornaci di Vietri a Cerreto Sannita, Laterza, Gerace, Caltagirone e altre in Sicilia, hanno prodotto sin dal XVIII secolo, manufatti di ogni forma per l’uso quotidiano, e non solo per le tavole signorili, già ben conosciuti. Tutti i maiolicari, seppure in zone diverse, sono stati sempre in contatto tra loro, tra concorrenza e collaborazione, ed hanno realizzato moltissimi oggetti, scambiando stili, colori e interpretazioni.

Qui si parla dei “trisnonni” delle nostre stoviglie quotidiane: ecco l’antenato della glacette, dove si rinfrescavano i bicchieri immergendoli nelle neve; i coloratissimi fangotti (i grandi piatti da portata dove spesso la salsa di pomodoro asciugava al sole per trasformarsi in estratto), le quartare per l’acqua o il vino o l’olio (con il collo più stretto), le quarare per il miele (a Caltagirone), le lucerne antropomorfe (ce ne sono due, novecentesche, con buffi monaci dalle brutte facce gialle); i vasi con decorazione a rilievo di squisita fattura nonostante l’uso quotidiano; le cannate, le bottiglie, gli scaldamani a forma di zucchina che venivano riempiti di acqua calda (la maiolica è un ottimo conduttore di calore); enormi fischietti, acquasantiere da capezzale, scolapasta, splendidi canopi da giardino settecenteschi in terracotta smaltata, crescintiere (contenitori in cui lievitava la pasta con il lievito madre), oliere dal becco allungato. Tra le curiosità, tre teste di moro di fine ‘700, ancora sbozzate con visi dai marcati tratti orientali, quasi dei fantocci, due addirittura di colore nero (si usava il manganese, molto costoso da ottenere); le brocche “bevi se puoi” con il bordo forato, da cui si può versare l’acqua in un unico modo: scherzi e burle per una tavola festosa. E ancora, una rara idra, particolare vaso da farmacia fornito di un rubinetto, dove si conservavano i medicamenti liquidi o anche l’acqua. Duecento pezzi in tutto, parte della collezione personale dei fratelli Tortorici, storici antiquari di Athena antichità: Stefano, Michele e Emanuela Tortorici da anni curano con passione il loro racconto del territorio siciliano e ne tramandano la bellezza e la tradizione. Questa mostra, di cui firmano ideazione e curatela, ricuce il filo e raccoglie il testimone della splendida e ricca esposizione “Maiolica, i corredi dello speziale XVII – XVIII secolo”, allestita nel 2017 a Palazzo Branciforte. Allora si raccontò la bottega del farmacista e alchimista nel periodo barocco, oggi si prosegue con le tavole quotidiane di Settecento e Ottocento

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