Cinque anni fa, Enzo Basso, fu l’unico giornalista italiano che si occupó della vicenda giudiziaria.
“Il fatto non sussiste”. Per stabilire che l’editore Mario Ciancio non fosse contiguo a Cosa Nostra il Tribunale di Catania ha impiegato 14 anni, prima di emettere la sentenza del 26 gennaio 2024 che proscioglie l’ex presidente della Federazione italiana degli editori dall’accusa di concorso esterno alla mafia. Cinque anni fa, Enzo Basso, l’unico giornalista italiano che si è occupato della vicenda giudiziaria, ha scritto “Il Caso Ciancio”, un testo che spiega come è nata l’inchiesta contro l’editore etneo e il valzer dei provvedimenti tra gli uffici giudiziari che ha poi determinato il dissequestro dell’ingente patrimonio di Ciancio, ben 150 milioni.
L’indagine, che forse non doveva neanche partire, ha però sconvolto gli equilibri editoriali nell’Italia del Sud, da Palermo a Bari, disegnando un nuovo preoccupante fenomeno, la volontà di alcune Procure di dettare la linea editoriale ai giornali addomesticati, il maggiore sfregio consumato in Italia sulla violazione dell’articolo 21 della Costituzione inaugurato con il sequestro del settimanale d’inchiesta siciliano Centonove, disposto dalla Procura di Messina nel 2017, accuse cadute nel giudizio.
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