Vasta operazione anti droga dei carabinieri del Comando provinciale di Messina tra Sicilia, Calabria e altre località del territorio nazionale e all’estero.
Il gip di Messina, su richiesta della Procura, ha emesso misure cautelari nei confronti di 112 persone (85 in carcere e 27 agli arresti domiciliari, di cui 3 a cura del Nucleo Investigativo Regionale Sicilia della Polizia Penitenziaria), ritenute coinvolte, a vario titolo, nei reati di associazione finalizzata alla detenzione, traffico, coltivazione e cessione di stupefacenti, autoriciclaggio, trasferimento fraudolento di valori, porto abusivo ed alterazione di armi, estorsione e altri reati. Sequestrati beni per un valore di oltre 4 milioni di euro. I provvedimenti scaturiscono da tre distinte indagini, condotte dai carabinieri delle Compagnie di Messina Sud e di Barcellona Pozzo di Gotto, tutte sotto il coordinamento della Dda di Messina, che hanno contemporaneamente disarticolato più organizzazioni criminali attive nel narcotraffico, nella città di Messina, nel Barcellonese e nelle aree nebroidea e tirrenica della provincia con collegamenti con strutture criminali calabresi e soggetti attivi anche in Campania, Lombardia e all’estero.
Lo spaccio di droga in carcere. Anche questa era una delle attività gestite dall’organizzazione criminale sgominata oggi da una vasta operazione contro il narcotraffico coordinata dalla Dda di Messina e che ha portato all’esecuzione di 112 misure cautelari. Per incrementare i profitti, il sodalizio avrebbe introdotto la droga nel carcere di Barcellona Pozzo di Gotto dove un detenuto dirigeva e coordinava la distribuzione delle dosi e telefoni cellulari, anch’essi introdotti illecitamente. Fra gli arrestati anche un agente di polizia penitenziaria e un infermiere dell’Asp di Messina, entrambi in servizio nel carcere. II primo avrebbe aiutato uno dei capi della consorteria, sottoposto a detenzione, consegnandogli la droga che poi veniva distribuita nel carcere; ii secondo si sarebbe occupato di far entrare la droga nel penitenziario. All’interno del carcere, i cellulari entravano anche grazie a un secondo gruppo, collegato al primo sodalizio, composto da alcuni detenuti e da una donna che, dall’esterno dell’istituto, avrebbe introdotto i dispositivi nascondendoli in pacchi destinati ai detenuti.